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“Riusciremo a gestirlo!”, affermai decisa, “in fondo siamo tre contro uno. Ce la possiamo fare”.
“Poi è vero che non abbiamo segreti da nascondere. Ben presto se ne accorgerà e ci lascerà in pace”, aggiunse Camilla con un mezzo sorriso.
“Speriamo bene”, sospirai. L’idea dell’intruso che ficcava il naso nei fatti nostri francamente mi irritava terribilmente. Era meglio non pensarci. Preferivo focalizzare la mia attenzione su quei tre numeretti sei, zero, zero, che divisi 12 facevano cinquantamila euro mensili. Cinquantamila!!! Una cifra che mi faceva venire il capogiro. I nostri stipendi sarebbero lievitati improvvisamente, mi sarei potuta permettere di tutto! Mi venne in mente la vetrina di Chanel e del ficcanaso non me ne importò assolutamente più niente. Se mi avesse infastidito sarebbe stato sufficiente visualizzarlo con una camelia in fronte! Voilà! Fosse stato anche un orco, mi sarebbe stato simpaticissimo!
“Anche io dico di sì”, esclamai sull’onda dell’entusiasmo.
“Sì, ma che sarà mai! Ce la caveremo come al solito! Anche per me è sì!”. Anche Camilla era d’accordo. Non rimaneva che aspettare fino all’ultimo secondo, tanto per dare l’impressione a Fantino che non stavamo pendendo dalle sue labbra, telefonare e organizzare l’incontro con l’orco, alias il famigerato avvocato Reali. Lo specialista!
Nel giro di qualche giorno saremmo stati salvi. Evviva!
Piena di ottimismo salutai tutti e dopo aver percorso circa due metri rientrai nel mio appartamento, appoggiai la borsa sulla consolle dell’ingresso e tirai fuori il cellulare. Controllai chi mi avesse chiamato. Nessun messaggio. Erano le due del pomeriggio e Giacomo non mi aveva cercata per niente. Era strano. Di solito mi sarei dovuta trovare almeno cinque o sei chiamate senza risposta e un messaggio. Invece niente. Una stretta alla bocca dello stomaco mi stava mettendo in allarme. Perché non si era fatto vivo?
“Oddio! Non gli sarà successo qualcosa?”, pensai. Subito la sua immagine agonizzante su un letto d’ospedale mentre il suo cellulare giaceva solitario e abbandonato sul ciglio di qualche strada mi attraversò la testa. Certo, sicuramente gli era successo qualcosa del genere. Ma perché nessuno mi aveva avvertito? Suo fratello, sua madre, qualcuno! Panico. Presi il cellulare e lo chiamai immediatamente.
“L’utente desiderato non è al momento raggiungibile”. L’odiosa vocina registrata non fece che aumentare all’impazzata i battiti del mio cuore. Panico totale.
Mentre una sottile goccina di sudore mi scendeva dalla fronte si faceva largo in me la consapevolezza che una qualche ineluttabile tragedia si era abbattuta su di noi.
Riprovai a chiamare. Niente. Il cellulare di Giacomo era staccato. Provai il numero di casa. L’eco del segnale di “libero” mi stava assordando la testa.
Dov’era Giacomo? Cosa gli era successo? Era…era forse…morto?!
“Falla finita immediatamente!”
La vocina buona vibrò imperiosamente dentro la mia testa sconvolta.
“Ragiona. Quante possibilità ci sono che sia effettivamente morto?”, mi chiese la vocina.
“Beh…”
Non riuscivo a ragionare.
“Pochissime, lo sai perfettamente.”
“In effetti è vero”, pensai, “è molto più probabile che si sia scaricato il cellulare, che se lo sia dimenticato a casa, che non lo senta perché sta suonando…”
“…che ti stia tradendo con un’altra…”
La vocina cattiva si era subdolamente insinuata dando voce alla peggiore delle ipotesi. Sì. Peggio della morte per me c’era solo un tradimento.
Inebetita andai in salone e mi sedetti sul divano fissando un punto indistinto davanti a me. Forse Giacomo mi stava veramente tradendo. Chissà perché, non valutavo nel giusto modo quella possibilità. Per me era assurdo che Giacomo mi potesse tradire.
“E’ un uomo!” La vocina cattiva continuava a torturarmi.
“No, lui non è come gli altri!” mi ritrovai a esclamare ad alta voce. Mi sentivo ridicola. Volevo assolutamente metterla a tacere. Però era proprio strano che non si fosse ancora fatto sentire alle due del pomeriggio. La preoccupazione saliva. Gli mandai un messaggio nel quale gli chiedevo di richiamarmi urgentemente. Poi, riprovai a chiamare. Niente. Ancora spento.
Decisi di non farmi prendere dal panico. Andai in cucina e cominciai ad aprire frigorifero e credenza compulsivamente uno dopo l’altro cercando qualcosa da sbranare al volo per il nervosismo. La desolazione regnava sovrana. Non c’era niente che potessi mangiare senza dover cucinare. Non avevo neanche voglia di scongelare. Nulla. Forse dovevo uscire a prendere aria. Certo, così mi sarei distratta un attimo.
Dopo qualche minuto stavo sfrecciando con il motorino in via Cola di Rienzo, diretta al Supermarket per saccheggiare il reparto focacce e dolciumi.

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