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Leni, intanto, aveva aperto la cartina di Venezia e stava raccontando a Sophie della sua sfida con Mr Green.
«Guarda» iniziò a dire Leni, spianando con le mani la piantina sul tavolo. «Vedi la riga rossa che ho tracciato? Quello è il mio itinerario ed ho anche una lista di persone che devo assolutamente intervistare. Molte altre poi, spero di trovarle sul posto ma per iniziare può andare bene, che ne dici?»
Sophie diede un’occhiata alla lista e all’itinerario di Leni.
«Non ho capito bene cosa intendi fare. Voglio dire, è una specie di reportage letterario? Una raccolta di storie e leggende? Di cosa si tratta? Vedo segnati dei posti sulla tua cartina che non andrei a visitare così a cuor leggero, sai?»
«Oh Sophie! Mi ero dimenticata che tu in mezzo alle pseudo magie ci sguazzi come un pesce» esclamò Leni con un sorrisetto ironico dipinto in faccia.
«E io mi ero dimenticata di avere a che fare con la regina degli scettici» rispose, un po’ seccata, Sophie, visto che da sempre si interessava di esoterismo.
«Quindi, quali sono i tuoi piani?»
«Mr Green mi ha sfidato a sfatare tutte le leggende su fantasmi, anime dannate, maledizioni e affini che gravano su alcuni luoghi e palazzi di Venezia. Intendiamoci, lui è fermamente convinto che tutto ciò esista realmente. Mr Green è molto simpatico ma secondo me è un po’ troppo fantasioso.»
Leni era completamente trasformata. Era evidente che il pensiero dell’avventura che stava per intraprendere e della sfida con il suo eccentrico vicino di casa avevano il potere di farle dimenticare le sue pene.
«Non sono fantasie. I fantasmi esistono e purtroppo anche le maledizioni e le anime dannate» disse con tono serio Sophie.
«Come siete melodrammatici tutti quanti. Io non ci credo. Non c’è uno straccio di testimonianza attendibile e, per quanto mi riguarda, è tutto frutto di menti troppo suggestionabili.»
«Ti giuro, Leni, che se tu non fossi la mia migliore amica…»
«Mi spiace Sophie» la interruppe decisa Leni, «io la penso così. Sono qui per andare a stanare i fantomatici spettri e sono pronta ad andare nei luoghi più famigerati dove, vedrai, non mi succederà proprio niente! Quindi rassegnati, anche se confido nel tuo aiuto.»
«Sai che hai una bella faccia tosta?» replicò Sophie, ridendo. «Va bene, vediamo un po’» disse poi, osservando con più attenzione l’itinerario tracciato da Leni sulla cartina. «Noi siamo qui, dunque… Ehi! Siamo proprio dietro uno dei palazzi più famigerati, sai?»
«Davvero? Quale, fammi vedere.»
Leni si mise a osservare a sua volta la piantina.
«Proprio qui dietro c’è palazzo Veronese, disabitato e invenduto da anni. Non so se esistano ancora eredi. La famiglia si era trasferita in America, almeno così mi sembra, e c’è solo un vecchio custode. Pare che sia mezzo matto ma è l’unico che si arrischi a stare lì dentro. Dicono che faccia venire i brividi.»
«Lui o la casa?»
«Entrambi!»
«Perfetto. Credi che il custode mi faccia entrare? Sarebbe fantastico intervistarlo.»
«Provarci non costa niente e da qualche parte dovrai pur cominciare.»
«Ottimo» esclamò Leni, ripiegando la piantina e i suoi fogli degli appunti. Rimise tutto in borsa, baciò Sophie, le disse che si sarebbero sentite più tardi. Indossò i suoi occhiali da sole un po’ retrò e, in pieno sole, si avviò verso il suo destino.
Casanova era terreo. Sentiva vagamente che l’arrivo di Leni aveva qualcosa a che fare con la sua triste condizione di anima persa, intrappolata senza scampo e senza riposo in una zona grigia che non era vita ma che non si poteva neanche definire morte. Quel viso gli aveva fin dal primo istante ricordato un altro viso e adesso si stava accorgendo che quel flebile legame si stava facendo sempre più stretto. Il fantasma del libertino non poteva fare a meno di starle accanto, di seguirla, senza capire perché. La seguiva e basta, come in quel momento, da lontano. La vedeva procedere a passo sicuro, consultare la sua mappa, chiedere informazioni ai passanti, diretta in un luogo per lui fonte di terribili sofferenze.
Palazzo Veronese si stagliava, oscuro e tetro, davanti a Leni.
“In effetti, non è proprio una vista idilliaca” pensò, osservando le mura annerite e lo stato di abbandono e di fatiscenza in cui versava quell’antica dimora. L’antico splendore si intravedeva appena dietro gli stucchi della facciata che avevano bisogno di un serio restauro, come, d’altronde, gli infissi. Il palazzo era imponente e campeggiava indisturbato sulle altre case.
“Per essere tetro è tetro, non c’è che dire. Ehi, ma che freddo.”
Leni alzò lo sguardo e vide che il sole, che fino a un secondo prima brillava caldo nel cielo, si stava oscurando a causa di alcuni nuvoloni mentre, contemporaneamente, si alzava una lieve brezza.
“Proprio come in un film horror. Mancano solo tuoni e fulmini per completare il quadretto” si disse, divertita da quella coincidenza. Tirò fuori la macchina fotografica e cominciò a fotografare il palazzo. Ci girò intorno, scrutandolo attentamente, per cercare di capire se ci fosse qualcuno. Il silenzio regnava sovrano. Per strada pochi passanti. Riguardando le foto appena scattate, si accorse di qualcosa e ingrandì la foto.
“Qui si intravede una figura dietro le finestre… sì, c’è qualcuno. Sarà il custode?” si chiese, sollevando la testa per vedere meglio.
“Voglio proprio entrare a dare un’occhiata. Cosa posso inventare per poter entrare? Questo palazzo non è certo aperto al pubblico e sulle guide non è segnalato nulla di rilevante, a parte le leggende sui fantasmi. Se mi presentassi come una turista, il custode mi sbatterebbe di sicuro la porta in faccia.”
Mentre Leni meditava sulla migliore strategia per riuscire ad entrare a Palazzo Veronese, Casanova osservava le sue mosse tenendosi a distanza. Avrebbe voluto seguirla ma, come sempre, ogni volta che si avvicinava a quel palazzo, le oscure presenze intrappolate da secoli al suo interno iniziavano a risvegliarsi e si predisponevano allo scontro. Era la sua vicinanza al palazzo ad aver richiamato le nuvole e il vento. Gli elementi naturali, infatti, rispondevano immediatamente alle energie invisibili sprigionate dalle entità. Sapeva fin troppo bene che si sarebbe dovuto tenere a distanza ma non riusciva a staccarsi da lei. Leni era decisa ad entrare.
“Adesso vediamo un po’ che succede” pensò, suonando il campanello.
Nessuna risposta.
Si stava domandando quanto tempo ci volesse perché qualcuno venisse ad aprire.
“Riproviamo, sono sicura che in casa ci sia qualcuno.”
Suonò il campanello con ancora più insistenza.
Ancora niente.
Dopo aver aspettato inutilmente qualche minuto, si arrese e girò le spalle per andarsene. Proprio in quell’istante sentì il portone che, scricchiolando, si stava aprendo. Si girò nuovamente. Il volto dell’uomo anziano che le aveva aperto la lasciò per un secondo senza fiato tanto che le parole che stava per pronunciare le morirono sulle labbra.
Piccolo e magrissimo, col volto scavato, segnato dall’età e da una vistosa cicatrice che lo attraversava da una parte all’altra deformandogli l’occhio destro e trasformando la linea della bocca in un ghigno, il custode di palazzo Veronese la stava fissando senza proferire parola.
«Sa… salve, buongiorno» esordì Leni in inglese, per vedere se l’uomo parlasse la sua lingua. Il vecchio parlava inglese perfettamente.
«Cosa vuole?»
«Buongiorno, posso entrare?» chiese Leni gettando lo sguardo oltre le spalle del vecchio.
«Cosa vuole?» ripeté impassibile il custode.
L’atteggiamento ostile non era certo di buon auspicio. L’idea che quel bizzarro ometto potesse rilasciarle una qualsiasi intervista stava sfumando sempre più ma Leni non si diede per vinta.
«Oh, solo qualche informazione. Sa, io adoro Venezia. Questo palazzo è talmente bello e mi hanno detto che è disabitato da tanto tempo, è vero?»
L’uomo non rispondeva e stava con la mano pronta a spingere il portone per chiuderglielo in faccia.
«Comunque, vede, io sono americana e mi piacerebbe tantissimo venire a vivere qui in Italia, a Venezia. Questo palazzo è meraviglioso e vorrei tanto…»
«Palazzo Veronese non è in vendita.»
«Capisco. Ma forse è possibile affittarlo?»
Il custode rimase interdetto. Non si aspettava una simile richiesta. Leni divenne sempre più incalzante approfittando dell’insperata titubanza dell’uomo.
«A chi posso chiedere? C’è un proprietario, qualcuno con cui possa parlare? È forse lei il proprietario?»
«No, io sono solo il custode.»
«Oh, allora sarà così gentile da farmi dare un’occhiata in giro»
Leni prese la mano del vecchio come per stringergliela, gli diede una pacca sulla spalla e lo spinse letteralmente dentro l’atrio del palazzo, riuscendo finalmente ad entrare.
«Si fermi, dove crede di andare?»
L’uomo cercò di fermarla ma ormai il più era fatto. Era dentro il palazzo e non sarebbe uscita senza aver avuto le informazioni che desiderava.
«Ma che meraviglia» esclamò, facendo finta di non aver sentito le rimostranze del vecchio che si affannava a seguirla. L’ingresso si affacciava su un ampio salone. Sullo sfondo, delle vetrate molto alte facevano intravedere un giardino interno. La luce però in quel momento non passava completamente a causa delle pesanti tende di velluto che coprivano quasi interamente le finestre. Leni vide che la vetrata centrale era in realtà una porta finestra. Anche se il palazzo all’interno era molto malmesso, neanche la decadenza riusciva a nascondere il suo passato splendore.
«Ho saputo che da molto tempo nessuno abita qui, non è vero? Ho sentito delle voci su cose che succedono qui»
«Signorina, non so di cosa stia parlando e le chiedo di uscire immediatamente!»
Per un attimo Leni temette che il vecchio potesse prenderla di peso e buttarla fuori dalla porta.
«Oh, ma a me non interessano le dicerie sa? È un vero peccato che rimanga così disabitato. Certo, ci sarebbe bisogno di una bella rinfrescata ma sono sicura che verrebbe benissimo. Vorrei fare un giro. Sarebbe tanto gentile da accompagnarmi?»
Il ghigno sul volto dell’uomo si trasformò in una smorfia spaventosa e grottesca mentre si gettava su Leni afferrandola per un braccio.
«Ehi, dico, mi lasci!»
L’uomo non mollava la stretta e cercava di trascinare Leni verso l’uscita.
«Mi lasci, ho detto!» esclamò di nuovo mentre cercava di resistere alla forza inaspettata del vecchio custode.
«Va bene, Sebastiano, ci penso io, lascia la signorina.»
Leni, libera dalla stretta, si voltò di scatto, pronta a ringraziare il suo salvatore, ma il sorriso smagliante le sparì di colpo dalla faccia quando, fermo sulla scalinata di Palazzo Veronese, vide il suo odioso vicino di aereo che la fissava con lo sguardo ironico e beffardo di chi si sta divertendo un mondo.

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